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L’unione europea non ha mai legiferato sul benessere di cani e gatti. È il momento di farlo

Non esistono leggi europee per il benessere di cani e gatti e ogni stato è lasciato da solo a decidere le normative da applicare. Chiediamo che i candidati alle prossime elezioni inseriscano questo tema nelle loro agende.
Nell'Unione Europea manca una politica comune per il benessere di cani e gatti

Nell’Unione Europea manca una politica comune per il benessere di cani e gatti

Si potrebbero definire gli animali più amati al mondo, quelli con cui la maggior parte delle persone condivide la propria vita, ma non esistono leggi che ne tutelino il benessere. Parliamo dei cani e dei gatti che vivono all’interno dei paesi dell’Unione europea.

Ad oggi, infatti, non esiste una normativa europea comune che armonizzi le leggi dei singoli stati sul benessere dei cani e dei gatti che vivono nell’UE, siano essi randagi o di proprietà.

Cosa comporta la mancanza di una normativa nell’Unione europea per il benessere di cani e gatti

Questo vuoto legislativo porta ad un mosaico di normative diverse, con grosse discrepanze nella gestione di tutti gli aspetti legati agli animali da compagnia, sia tra i singoli stati, che all’interno dell’Unione.

Così ci sono paesi che non praticano l’eutanasia come strumento di controllo del randagismo, come l’Italia, la Germania e la Grecia, e paesi dove invece è legale, come la Romania, la Francia, e il Belgio.

Ma se l’Italia da una parte ha scelto dal 1991 di non praticare l’eutanasia, dall’altra si ritrova con una situazione di gravissimo sovraffollamento dei canili, spesso veri e propri lager, con circa 200.000 animali rinchiusi in strutture dalle quali non usciranno mai.

La Germania vanta alcuni dei canili con gli standard più elevati d’Europa, ma non obbliga a registrare cani e gatti in anagrafe.

Alcuni paesi regolamentano nei minimi dettagli l’allevamento, il trasporto e il commercio degli animali, altri non prevedono nemmeno leggi contro il maltrattamento genetico. Ancora una volta, l’Italia è tra questi.

E la lista continua.

Una direttiva europea darebbe la possibilità di stabilire degli standard minimi, uguali per tutti, lasciando poi la possibilità ai singoli stati di approvare ulteriori leggi, che a quel punto potrebbero essere solo più restrittive e, di conseguenza, migliori per il benessere degli animali.

Non esiste un’anagrafe comune per i cani e i gatti dell’Unione europea

Uno degli aspetti più urgenti da regolamentare è l’assenza di un’anagrafe europea comune. Ad oggi le anagrafi dei singoli paesi non comunicano tra loro e ogni paese può decidere autonomamente se obbligare o meno i propri cittadini ad iscrivere gli animali in anagrafe.

In Italia, i cani devono essere iscritti all’anagrafe entro i due mesi di vita e ogni regione ha un proprio database, che confluisce poi in quello nazionale. Tuttavia, non viene richiesta la registrazione dei gatti, anche se alcune regioni, come la Lombardia e la Puglia, l’hanno reso obbligatorio.

In Germania la situazione è opposta: sono gli stati federali a decidere dell’obbligo del microchip e dell’iscrizione in anagrafe, e ciò crea una situazione “a macchia di leopardo”, con lander virtuosi e altri negligenti.

A conti fatti, non si sa con precisione quanti cani e gatti ci siano nei singoli stati e l’assenza di un’anagrafe europea impedisce alle anagrafi nazionali di comunicare tra loro e di avere dei dati certi.

Senza microchip e senza la possibilità per le anagrafi di scambiarsi informazioni, diventa più facile spostare illegalmente gli animali tra gli stati e venderli.

Ci sono 500mila cani e gatti pronti per essere acquistati in ogni momento in Europa

Si stima che siano quasi mezzo milione i cani e gatti pronti per essere venduti in qualsiasi momento all’interno dell’UE. È quanto emerge dal report Illegal Trade of Cats and Dogs, realizzato nel 2023 dalla Commissione Europea che punta proprio a denunciare come le attività fraudolente in questo settore stiano mettendo a rischio tanto la salute degli animali quanto la salute pubblica a causa della diffusione di malattie zoonotiche (cioè di provenienza animale).

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Questo numero tiene conto sia degli animali allevati legalmente che di quelli provenienti da contesti sospetti e la ricerca della Commissione rileva come stiano aumentando le vendite di cani e gatti sempre più giovani e non vaccinati. Si tratta di un traffico che vale centinaia di milioni di euro all’anno e si teme che sia comunque un volume sottostimato, dato che nella maggior parte dei casi gli spostamenti sono camuffati come movimenti non-commerciali.

Nel 2022, i fornitori principali provenivano dalla Romania e dall’Ungheria e i trafficanti hanno sfruttato le leggi esistenti per il trasporto per mascherare le attività illegali e passare i controlli, utilizzando documenti contraffatti e approfittando della mancanza di personale formato alle frontiere.

Aumentano anche le vendite online

Questi 500mila animali non sono solo pronti per essere acquistati in ogni momento, ma la loro vendita viene costantemente pubblicizzata online, sia su siti dedicati che sui social network, malgrado i Termini e le Condizioni delle piattaforme non lo consentirebbero.

E anche in questo caso, la normativa varia ampiamente da paese a paese: in Italia per sponsorizzare la vendita di un cane o di un gatto è necessario includere il numero di microchip e nel caso di cuccioli, l’annuncio deve indicare anche il microchip della madre e un certificato veterinario.

Questo non vale in altri paesi: in Romania, Germania e persino in Svezia non ci sono leggi che regolamentino le pubblicità online di cani e gatti.

Se ci fosse una normativa europea, sarebbe più facile imporre alle varie piattaforme di regolamentare le inserzioni, obbligando gli stati a indicare, ad esempio, proprio il microchip e a registrare a un’ipotetica anagrafe europea l’animale che si sta vendendo.

Al momento, l’unico modo per tracciare gli spostamenti trai i paesi è il sistema informatico TRACES, a cui anche noi di Save the Dogs iscriviamo tutti i cani che mandiamo in adozione in alti paesi. Tuttavia, anche questo sistema ha dei limiti, dato che – non essendo obbligatorio – viene evitato nella maggior parte dei casi.

Nell’Unione Europea mancano leggi per tutelare i cani e i gatti negli allevamenti

Oltre alla mancanza di una normativa europea comune che regolamenti la vendita degli animali, mancano anche leggi che ne disciplinino l’allevamento.

In Italia, ad esempio, non esiste un database nazionale di allevatori con le dovute licenze e non esistono nemmeno leggi che vietino l’allevamento di animali con condizioni genetiche che ne compromettono la salute, come nel caso dei brachicefali.

Con il termine “brachicefali” si intendono i cani e i gatti che presentano il muso schiacciato, come carlini, bulldog, bouledogue francesi, cavalier king e boxer. Sono animali che soffrono enormemente nel corso della vita a causa dei problemi di salute che questa condizione comporta: problemi respiratori e cardiaci, patologie legate al palato, alla masticazione, solo per citarne alcuni, e che nella maggior parte dei casi, provocano una morte prematura.

Leggi anche: La moda degli animali brachicefali è pericolosa. L’appello di Save the Dogs

Gli allevamenti illegali sono veri e propri allevamenti intensivi

La selezione genetica viene fatta per ottenere dei lineamenti che ricordino il più a lungo possibile quelli dei cuccioli, andando quindi incontro ai gusti del pubblico e alle mode, che hanno portato a un’esplosione delle vendite – soprattutto illegali – di questi animali.

Numerosi paesi dell’est si sono “specializzati” in questo tipo di razze che oggi sono acquistate e pubblicizzate da diversi vip, come nel caso del recente scandalo de I cuccioli di Carlotta.

L’allevamento in questione, con sede in Slovacchia, vendeva meticci spacciandoli come cuccioli di bouledogue francese. Come spiega la nostra presidente Sara Turetta a Mi Manda Rai Tre, parlare di allevamenti illegali equivale a parlare di veri e propri allevamenti intensivi di cani, in cui le fattrici subiscono almeno due interventi all’anno per dare alla luce i piccoli e vengono uccise quando non sono più considerate riproduttive.

Ma in Italia tutto ciò è legale e produce profitti enormi, sulla pelle di questi animali.

Altri paesi dell’Unione europea hanno normative più stringenti, come nel caso della Svezia che non solo proibisce l’allevamento di cani e gatti con condizioni genetiche ereditarie, ma ha anche un codice che regolamenta le strutture, le ispezioni, le norme igieniche degli allevamenti. È anche presente un database nazionale di allevatori che hanno ottenuto i permessi necessari.

La Norvegia e l’Olanda hanno bandito alcune razze brachicefale, mettendole letteralmente fuori legge.

Mentre anche se in Germania non esiste un database nazionale, le leggi per la tutela di cani sono simili a quelle della Svezia. E la Romania? Nel paese in cui siamo attivi da oltre 20 anni manca un database nazionale degli allevatori certificati, ma esistono leggi che proibiscono l’allevamento di animali con condizioni genetiche che potrebbero comprometterne la salute.

Ancora una volta ogni paese è lasciato libero di decidere come intervenire e anche paesi che sono più avanti su alcuni temi, presentano gravi lacune su altri.

Il 30% dei cani e dei gatti nel mondo è senza un umano di riferimento

Regolamentare a livello europeo l’allevamento e la vendita non è solo una questione economica, ma è soprattutto un dovere morale. Si tratta di ridurre le sofferenze alle quali questi animali vanno incontro, di dare loro una miglior qualità della vita e di non prenderli in considerazione solo dal punto di vista del profitto e della salute pubblica, come avviene nelle sedi istituzionali.

Ma è fondamentale a nostro avviso riflettere sul concetto stesso di allevare cani e gatti con il solo scopo di essere venduti.

Secondo una recente ricerca condotta dall’associazione Humane Society International e dal gruppo MARS, il 30% dei cani e dei gatti al mondo è senza un umano di riferimento: cani e gatti ferali, animali abbandonati, cucciolate indesiderate che lottano ogni giorno per sopravvivere sulle strade o che vivono rinchiusi in strutture.

Quindi viviamo una situazione che non esitiamo a definire schizofrenica, per cui da una parte si allevano illegalmente cani e gatti con il solo scopo di generare profitto e dall’altro ci sono milioni di animali che muoiono di stenti o aspettano di essere adottati e che vedono le loro speranze ridursi, cucciolata dopo cucciolata.

Il randagismo pesa anche sul bilancio dello stato

Infine, non dobbiamo dimenticare quanto queste dinamiche pesano sui bilanci dei singoli stati. Se si parla di allevamenti illegali, si tratta di denaro che sfugge ai controlli fiscali e arricchisce il mercato nero, sottraendo fondi alla comunità.

Se si parla di controllo del randagismo, si tratta di fondi pubblici (180/200 milioni all’anno in Italia)  per tenere i cani abbandonati nelle strutture a spese dei Comuni. Infatti, sia che uno stato decida di intraprendere la strada dell’eutanasia come mezzo di controllo della popolazione canina e felina, sia che decida di rinchiudere gli animali nei canili, ci troviamo di fronte a spese rilevanti che potrebbero essere evitate con politiche comuni e leggi più stringenti, oltre che con un focus sulla prevenzione – e dunque sulla sterilizzazione – e non sulla gestione del problema “a valle”.

Il traffico illegale e il randagismo minacciano la salute pubblica

Il traffico illegale e il randagismo sono poi un problema di salute pubblica. I cuccioli trafficati sono sempre più giovani e stanno aumentando i casi di animali venduti senza le dovute vaccinazioni o privi degli anticorpi della rabbia.

Così stiamo assistendo al ritorno di malattie che in alcuni paesi sono sotto controllo da decenni, ponendo un rischio concreto per la salute degli animali trafficati, di quelli già presenti nelle nostre case e anche delle persone, a causa della diffusone di zoonosi, ovvero malattie trasmesse dagli animali (tra questi l’echinococcosi, la giardia, la brucellosi).

Tutto ciò sta minacciando il principio della One Health, “una sola salute”, che si basa sul riconoscimento del fatto che la salute umana, la salute animale e la salute dell’ecosistema sono indissolubilmente legate. Un principio riconosciuto ufficialmente dal Ministero della Salute Italiano, da tutte le organizzazioni internazionali e dalla stessa Commissione Europea.

Avere una politica comune per i cani e i gatti dell’Unione europea significherebbe avere anche accesso a nuovi fondi

Infine, se ci fosse una normativa europea che regolamenti l’allevamento, la vendita, il trasporto di cani e gatti, la prevenzione del randagismo e che facesse ordine in tutte le aree di lavoro che coincidono con questi temi, esisterebbero anche fondi pubblici europei per chi sviluppa progetti in questi settori.

Tali fondi si potrebbero impiegare per dare vita a vasti programmi di sterilizzazione, di sensibilizzazione sulla convivenza responsabile e per incrementare le attività educative nelle scuole, nelle comunità più svantaggiate e così via. Tutti, persone e animali, ne trarrebbero un grande beneficio.

Questi fondi ad oggi sono inesistenti e le organizzazioni non profit sono costrette a dipendere unicamente dalla generosità dei propri donatori.

La richiesta ai candidati alle elezioni europee di giugno 2024 per tutelare il benessere di cani e gatti

Per questo, noi di Save the Dogs ci siamo uniti alla coalizione Anche gli Animali Votano, per chiedere ai candidati alle elezioni europee del 6-9 giugno 2024 di inserire il benessere di cani e gatti all’interno delle loro agende.

Insieme alle principali associazioni italiane abbiamo stilato un programma di 10 punti in cui chiediamo, tra gli altri, una politica europea per il contrasto e la prevenzione del randagismo, dell’abbandono di cani e gatti e per la lotta al traffico dei cuccioli.

Leggi anche: Elezioni europee 2024: chiediamo maggiori tutele per gli animali

Nei prossimi mesi vi terremo informati su quali candidati risponderanno alle nostre richieste, in modo da arrivare pronti alle elezioni di inizio giugno.

E ricordiamoci di una cosa: siamo noi a scegliere chi si siederà sugli scranni del Parlamento Europeo. Votare è importante!